di Giorgio Galli Una vita migliore C’è un segreto sinistro che solo tu sai. Un giorno del 1920, a Torre del Greco, una donna si lanciò dalla finestra perché aveva scoperto che il marito la tradiva, e che aveva anche un figlio con un’altra. La suicida non si premurò di nascondere la scena alla sua bambina, che aveva solo due anni e assistette sia alla lettura della lettera con cui l’amante del padre umiliava la madre, sia al lancio di quest’ultima dal balcone. La bambina crebbe, a Napoli e sotto le bombe, con un padre contrabbandiere che la trascurava, una matrigna sordomuta e tanti fratellastri. Della madre non c’era in casa nemmeno una fotografia. Il padre girava per Napoli a fare i suoi affari, e a fare a botte alla prima occasione propizia. Una sera, nel pieno della guerra, passavano padre e figlia per un vicolo, e da un basso sentirono il lamento di una madre: “A crudo a crudo!” Suo figlio era morto sotto un bombardamento. “A crudo a crudo!” significava “Così giovane!” Il padre entrò nel basso, guardò la donna e disse: “Ma quanto piangi brutto! A crudo a crudo! Cuocilo, no?” I fratelli della donna gli si lanciarono contro. Lui li confuse trinciando un cuscino con il coltello che portava sempre dietro; lanciò una risata gorgogliante, e scappò. Per tutta Napoli gli scherzi più atroci erano firmati con la sua risata da Joker. La ragazza compì diciott’anni. Un alpino le dedicò le sue attenzioni. La invitò a uscire. All’appuntamento però ci trovò il padre, che comandò: “Arap’a vocche!”, e quando il giovane l’aprì gli cacciò dentro il cappello da alpino con tutta la penna. Poi esplose nella sua risata da Joker e fuggì. Ma c’era un altro giovane che corteggiava la ragazza: un giovane napoletano, e con lui la cosa era seria. Il padre capì, e stavolta lasciò fare. Gl’innamorati si vedevano di pomeriggio, quando lei usciva dalla bottega del calzolaio di cui era l’apprendista. Era una fascista convinta, lei; lui un figlio di antifascisti che, non avendo la tessera del lavoro, eran finiti a chieder l’elemosina. Lei era stata la prima della classe, quando andava a scuola; lui a scuola non c’era voluto andare ed era ancora analfabeta. Gl’insegnò lei a leggere e a scrivere: gli dava un bacio solo se studiava, e alla fine imparò anche lui. Quando il fidanzamento fu ufficiale, uno zio di lui, un emigrante rientrato dal Nord, che si sforzava di parlare italiano, ma senza riuscirci, esclamò: “Siete la coppia più bella sulla coppa della terra!”, che evidentemente era un’italianizzazione malriuscita del napoletano ‘ncop’a la terra. La coppia più bella sulla coppa della terra lasciò Napoli. Per prima si trasferì lei a Manoppello, dove la raggiunse la notizia che il fidanzato era morto sotto le bombe. Lei andò dal Volto Santo di Manoppello e chiese di mandarle un segno, se era ancora vivo. Il segno entrò sotto le spoglie d’una sua amica, che spalancò la porta della chiesa gridando: “È vivo! È vivo! È qui!” E così la coppia più bella sulla coppa della terra si trasferì a Ortona, poi col bombardamento di Ortona nelle Marche, e lì finalmente si sposò. Da quel momento vissero facendo sacrifici per far studiare il loro unico figlio, perché lui diventasse padrone mentre loro erano stati servi. E ci riuscirono. Il figlio della coppia più bella sulla coppa della terra è mio padre, il più importante notaio della città. I miei nonni diventarono salumieri; cogli anni Sessanta allargarono l’attività, aggiunsero un banco pane, e nell’Ottanta avevano un piccolo ma completo negozio d’alimentari, il classico vecchio negozio di quartiere. Andò sempre benissimo. All’arrivo dei supermercati, loro erano già andati in pensione. E mio padre divenne il più grosso notaio della città – anche perché sono in due. Un pomeriggio, a sei anni, portai a casa un cane. Il cane fece i suoi bisogni nello studio. Fu seppellito in giardino. Una sera sentii mia madre piangere, vidi ch’entrava nello studio con mio padre. Dallo spioncino, vidi che mio padre la prendeva a schiaffi. Lui la schiaffeggiava, lei si lasciava schiaffeggiare, ed entrambi facevano attenzione a non far rumore per non far accorgere me. E una mattina, avevo sedici anni, mia madre stava rigovernando l’armadio, e la vidi cadere. Dopo pochi minuti lei non c’era più. Stavolta mio padre non c’entrava: pianse lacrime amare per la donna a cui aveva rovinato la vita. Ma io non volevo più vederlo. Andai a vivere dalla coppia più bella sulla coppa della terra. Ed è ancora lì che vivo, a trentuno anni, perché non riesco a lavorare. Da ragazzo ero un teppista, quando una ragazza mi disse di no mi stesi in mezzo alla strada, sotto la finestra della sua casa. Ero un gran sfigato, e lo sono rimasto. Della coppia più bella sulla coppa della terra rimane soltanto mio nonno. Solo lui sopravvive della coppia più bella sulla coppa della terra. “Tengo un capo del filo, l’altro è sciolto”, diceva Montale: e nessun verso si adatta ai sentimenti di mio nonno meglio di questo. La brocca è stata infranta, la brocca più bella sulla coppa della terra. Mio padre ha portato la carriera, ma quanto al resto ha dato solo delusioni. Ci siamo riconciliati, oramai: siamo due falliti sulla coppa di questa terra. Io continuo a vivere dal nonno, che è vecchio e ha bisogno d’aiuto. Oramai non capisce neanche più. Mio padre non può aiutarlo, non ci sa fare. Così è felice di delegare me e di mantenermi. E io non posso muovermi da questo buco di provincia, e quando mio nonno sarà morto dovrò ritornare da mio padre. Chi sa quanti anni avrò. Sopra i trentacinque, si sa, il mondo del lavoro ti rifiuta. Ma io spero in una vita migliore. Lo sai. Ho in me l’eredità della bisnonna che s’è uccisa, e quella del nonno che dal fondo della guerra è riuscito a mettere in piedi il suo negozio. Io spero che sarò come il nonno. Tu mi […]
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