di Francesco Gori Il Festival di Sanremo è da sempre catalizzatore di attenzioni mediatiche e sociali, contenitore melting pot che rappresenta ogni anno in cattivo stile il Bel Paese. Non fa eccezione l’edizione 2014 condotta da Fabio Fazio e Luciana Litizzetto, con un’apertura per la prima serata all’insegna di una morale sulla bellezza, decisamente fuori dalla realtà. Pensiamoci un attimo. Fazio per cinque serate percepirà un cachet di 600mila euro: è lui l’uomo giusto per fare una morale sull’Italia da ricostruire, un’Italia nella quale ricreare un’atmosfera “da bellezza”? O dovrebbe per primo dare il buon esempio per quello che, di questi tempi, è un compenso vergognoso? 5 milioni e mezzo dal contratto Rai, 600mila come detto per il Festival-vuoto-a-perdere, più altre “mila euro” per i collaboratori vari… “Costruire è più facile che distruggere” dice il tanto-perbene Fazio in risposta a Beppe Grillo. No caro Fazio, è più facile costruire castelli di cartapesta come questi. Un incipit di Festival con un copione già scritto, i due operai che si vogliono buttare come nel 1995 con Pippo Baudo. Già Pippo Baudo, “Aridatece Pippo Baudo” e liberateci da Fabio Fazio, dal suo costruito-perbenismo-vomitevole-moralismo da servo della gleba. E poi. Serata dedicata all’immenso Fabrizio De Andrè, nato proprio il 18 febbraio, e ricordato come lui mai avrebbe voluto – allergico com’era a qualsiasi “sviolinata”, non ce ne voglia la dolce ed emozionata Dori Ghezzi – con uno dei suoi grandi successi, Creuza de mä, attraverso la voce di Luciano Ligabue. Mai cantante fu mal azzeccato: com’è possibile ascoltare un emiliano che canta in dialetto ligure? E soprattutto, solamente pensare Ligabue cantante di De Andrè? Ci vuole delicatezza nel riportare la dimensione divina di Faber – in qualunque contesto -, difficile da riprodurre vista l’eccezionale e profonda umanità di Fabrizio, irraggiungibile per chiunque, ma ancor più per il rocker vestito da pischello attempato. Il giudizio nella vita crea conflitti, ma è umano, e siamo qui per darlo, ed è inevitabilmente negativo anche per Luciana Litizzetto, alla cui vision sorge spontanea una domanda: perché fanno ridere la sua figura fisicamente depressa e il suo umorismo cinico condito da una parlata odiosa da moglie castrante? La piccola Luciana è il segno distintivo della comicità volgare di questi tempi, specchio di una società volgare. Il buon Benigni era molto meno scurrile pur parlando di “Vulva e affini”. E poi c’è Raffa, lei sì con la sua verve da arzilla 70enne, come Pippo e Mike erano e sono ancora loro i veri conduttori del festival, i vecchi conduttori. “Aridatece Pippo”. E poi le canzoni, quest’anno depurate da vincitori di talent scout e fenomeni da baraccone, ma senza punte di diamante, con onesti mestieranti della canzone. Si stava meglio quando si stava peggio, mai motto più adatto visto che al cospetto di signori quali Celentano, Mina o Battisti, ma anche Morandi, Ruggeri o Ramazzotti, il panorama attuale dei cantanti è povero, specchio di una società al quale va aggiunto povera come aggettivo-base. Il festival è superficie riflettente di noi, noi che continuiamo a spendere per un Fabio Fazio conduttore perbenista-moralista-vomitevole da 600mila-e-rotti, noi che continuiamo a sprecare soldi per un generatore di chiacchiere inutili. Più che uno spettacolo dovrebbe essere gara canora, gara dell’eccellenza dell’arte del canto, e invece ecco ore e ore fagocitate da finzioni di parole, sipari imbarazzanti, pubblicità a go-go, con pillole di note. Uno spettacolo che invece andrebbe ridotto all’osso e quantomeno con una parvenza di decenza: almeno ai tempi di Benigni Sanremo faceva ridere, ma adesso, con la Littizzetto vestita da pantera rosa, proprio non si guarda.
↧