di Gianluca Bonazzi Riscoprire il femminile dentro di noi, un’urgenza dei nostri tempi Il problema dei problemi della società italiana, da cui derivano tutti gli altri, risiede nell’incapacità inconscia e/o conscia di esprimere il femminile. Non si tratta di riconoscere o aumentare le cosiddette quote rosa, il femminismo e altre corbellerie del genere. L’espressione “quote rosa” è una delle tante idiozie di un linguaggio che ha defenestrato la bellezza, il senso e il significato dell’antica lingua italiana. Non è vergognoso che un lungo viaggio di trasformazione del nostro parlarsi, calato impunemente dall’alto, ci abbia portato a uno scempio simile? Meglio allora sarebbe ritornare al dialetto: autentico, energico, virile! La parola inquinata è come un seme che contagia pian piano, subdolamente e poi a macchia d’olio, tutto il resto. Si tratta di capire poi che la terra è Madre, perché è colei che ci ha generato. E invece noi non la rispettiamo in nessun modo, nel piccolo come nel grande, a livello singolo, di collettività e di istituzioni. “Il pesce puzza sempre dalla testa!” si diceva una volta nel mondo contadino; nel nostro caso, dall’alto, da qualcosa di incommensurabilmente più grande, dove non sappiamo più guardare. Quindi il nostro comportamento verso Madre Terra ne genera altri, a pioggia, disattenti, distorti e distruttivi verso coloro che avrebbero bisogno di ascolto, come anziani, bambini, donne e malati. Non si riesce o non si vuol capire che tutto è collegato, che ci vuole una visione d’insieme, immaginata dall’alto ma stando in basso, un cambio di paradigma assoluto rispetto al passato, che ha sedimentato nei secoli la cultura maschilista. Quindi non va neppure bene parlare di femminismo, perché è parola e significato esattamente complementare a maschilismo, quindi riproducente gli stessi effetti nefasti. Sono tante le “cose”, caratteri, principi e mondi, che il rifiuto del femminile ha portato con sé: la poesia, la visione poetica, tra loro estremamente differenti, l’accoglienza, l’ascolto, la tenerezza, l’interiorità, l’innocenza, la creatività, la natura selvatica. Questi aspetti non fanno quasi più parte del nostro sentire e del nostro orizzonte. La nostra società è continuamente performativa, come un maschio eccitato, falsamente virile nei suoi valori di potere, sesso e soldi, che alla fine lo fanno sentire solo come un misero impotente. Quante donne però cercano e seguono queste immagini ormai fruste? Siamo dentro un circolo vizioso che si autoriproduce all’infinito, e soltanto con grande coraggio, pazienza e tenacia lo potremo scardinare. Dal basso e lentamente deve sorgere un’opera gentile, non una Grande Opera di cementata memoria, per ricostruire la società in bellezza e con cautela. Il termine “poesia” deriva dal greco poiesis, che significa “fare”, “creare”. È chiaro il principio femminile che suggerisce, come dovrebbe esserlo il fatto che essere poeta e avere una visione poetica non significano la stessa cosa. La visione poetica, presente o latente, appartiene a tutti, evoca un certo gusto per il bello, è un modo di guardare il mondo, la realtà, a partire da se stessi, con attenzione, innocenza, sensibilità. È candida, è pura, non specula sul passato e non programma il futuro, ama emozionarsi, coglie l’attimo come sanno fare i bambini. Il poeta invece è solo colui che sa tradurre, con parole intrise del mistero della vita, la visione poetica che viaggia ondivaga nella maggior parte delle persone. Negli ultimi decenni, chi gestisce il potere ha saputo trasformare la visione poetica delle persone in quella televisiva, appiattendone l’umanità. Lo spessore della vita, da quello solido, faticoso e intenso della terra lavorata, si è trasformato in quello liquido, appariscente e precario dello schermo – che sia quello della televisione, del cellulare o del computer non fa differenza. La natura selvatica – quella vera, perché l’altra è solo una… “quota verde” – rimane sullo sfondo per dare colore a una cartolina, a un panorama da fotografare, a un documentario da guardare. Siamo spettatori paganti di una sopravvivenza stentata, che crediamo vera sotto le luci di un centro commerciale o per i soldi e/o la carta di credito che teniamo tra le mani. Ci siamo prestati volentieri a un lifting antropologico, per rivoltare come un calzino lo spirito della nostra umanità: solo l’ascolto del femminile, presente in ognuno di noi, ce la potrà restituire.
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